Parte 5 - STORIA DELLA CORALE DI S. CECILIA - FUCECCHIO - di Mario Catastini a cura di Giacomo Pierozzi

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LA CORALE FUCECCHIESE DENOMINATA S. CECILIA
> parte 5 <



1982- L’addio alla Corale di Egisto Donati

Le previsioni enunciate dal direttore della S. Cecilia si rivelarono veraci. Dopo un paio di anni di sfarfalleggiamenti da parte delle parrocchie , specialmente i Consigli pastorali cominciarono a rendersi conto che la Messa e altre cerimonie religiose come quelle legate alla Settimana Santa non potevano e non dovevano costituire occasione di spettacolarità. Qualcuno, in seno ai consigli pastorali, ebbe il coraggio di affermare che non si dovevano sotterrare o gettare nei cassonetti dell’immondizia valori autentici come quelli che venivano attestati dai repertori sacri delle Corali. Allo scopo di perpetuarne la sopravvivenza fu decisa anche la corresponsione di un compenso annuale o di uno legato ad ogni esibizione. La corale S. Cecilia poteva perciò emettere un respiro di profondo sollievo. Ma intanto i vecchi coristi o si ritiravano per raggiunti limiti di età o perché erano stati chiamati a “miglior vita”.
Nella filiera della Corale fucecchiese resistevano soltanto quelli e quelle che negli anni sessanta erano considerati dei giovani. All’interno della corale difficilmente si verificava la diaspora; però il reclutamento di nuovi coristi e di nuove coriste si rivelava impossibile. Inutilmente Egisto aveva lanciato appelli tramite la stampa per il reclutamento. Inutilmente si era rivolto ai parroci chiedendogli espressamente di convincere i giovani delle corali parrocchiali a trasferirsi nella S. Cecilia. Soltanto Don Melani e don Amulio, dopo il 1982, si rivelarono sensibili a questa urgenza.
Tutto questo amareggiava profondamente il direttore fondatore della corale S. Cecilia. E come se questo non bastasse cominciò a serpeggiare fra le fila dei coristi un certo spirito di fronda. Qualcuno sosteneva che Egisto non era più all’altezza dei tempi e che i suoi metodi autoritari scoraggiavano coloro che avevano in animo di aggregarsi alla corale.
Nel 1982 due coristi cominciarono addirittura a battibeccare scopertamente con Egisto Donati. Egisto era perfettamente consapevole del gap musicale esistente fra lui e i due contraddittori.
-Ma come si possono permettere di volere insegnare a me che ho dedicato tutta la mia vita allo studio della musica? – si confidava con alcune persone fidate.
Una sera il battibecco si trasformò in alterco. Quell’alterco, irriverente ed oltraggioso nei confronti di colui che aveva fondato la S. Cecilia, fece traboccare il vaso della sopportazione.
- Aldo – chiamò Egisto, rivolto a suo figlio – Portami a casa. Me, cari coristi, non mi vedrete più. Addio.
Le donne allibirono. Qualche corista sghignazzò.
Egisto tenne fede alla sua parola. Abbandonò per sempre la sua ciurma; ma non dimenticò mai la sua creatura, la Santa Cecilia. Nel suo testamento sottoscrisse un “lascito” per la corale, grazie al quale verranno celebrate ogni anno quattro Messe di suffragio per i coristi morti in occasione delle seguenti festività: Pasqua. Ascensione, S. Cecilia e Natale.
Al meritevole concittadino M° Indro Beconcini venne affidata la direzione della S. Cecilia.
Cinque anni dopo l’addio alla Corale, Egisto diede il suo addio anche al mondo.
Ecco come ne ricorda il trapasso l’allora cappellano della Collegiata don Mario Santucci.

* *

Non per una emotività che in certi momenti emerge facilmente, ma per una lettura obiettiva e serena del tuo cammino nel tempo, ci sembra di poter riassumere il tutto in questi suggerimenti che ci hai offerti nei tuoi ultimi giorni quaggiù.

“Leggetemi il « Miserere »: il salmo 50 di David peccatore che la Chiesa canta mentre accompagna i suoi defunti dalla loro dimora terrena alla Chiesa, atrio e figura della eterna Gerusalemme”.
“E ora « Adoro te devote » : quel meraviglioso inno di S. Tommaso D’Aquino, il cantore dell’Eucarestia, in quella melodia in canto gregoriano che, davvero, trasporta in una altissima contemplazione, proprio come dicono le ultime parole: Jesu, quem velatum nunc aspicio — Oro fiat illud quod tam sitio — Ut te revelata cernens facie — Visu sim beatus tuae gloriae »
“Ed ora: il « Magnificat » ; stavi per dire:
« Cantatemelo » ... Non ce la facemmo. Comunque ci sembrò che tu stesso cantassi con quell’atteggiamento che tradiva quasi una sinfonia: « Magnificat anima mea Dominum — Et exsultavit spiritus meus in Deo salutari meo — Quia fecit mihi magna qui potens est: et sanctum nomen ejus.
Era, cioè, il « tuo grazie » che erompeva dalla tua vita segnata visibilmente dalla croce.
E quell’ora di vera estasi non potevi concludere meglio (come quando, nella Corale, serbavi il pezzo più forte per il « finale »): “Leggetemi — volevi dire ancora cantatemi— quella stupenda melodia gregoriana espressa nell’inno al Vespro, della festa del SS. Nome di Gesù: Jesu dulcis memoria — Dans vera cordis gaudia — Sed super me et omnia — Ejus dulcis praesentia — Sis Jesu nostrum gaudium — Qui es futurus praemium — Sit nostra in te gloria — per cuncta semper saecula — Amen.”

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Da qualche anno la direzione della corale è passata al M° Aleandro Puci


Donati Egisto (5.8.1909 – 24.2.1987)

Aneddoti di Donati Egisto narrati da Aldemaro Toni su IL TIRRENO del 6 aprile 1986
Le opere al teatro Pacini, allora con i palchetti, i velluti rossi. Il Maestro Corso che aveva la sua scuola nel Palazzo del Gattino.
E poi Bàllero, basso lirico, che andò a cantare in America. Sua figlia che era una buona soprano.. “O Frediani — disse all ‘arciprete il Maestro Mariotti (suo un celebre brano che suona tutt’ora le banda) — va’ un po’ fuori che ho da tirare un moccolo!” Mio nonno suonava nella fanfara del tirassegno. Mio padre mi portava per mano alle prove del coro. Incantato vedevo passare il baritono Montanelli.....
Ricordi di infanzia di Egisto Donati. A Fucecchio un personaggio. Per la musica un’istituzione. Per quarant’anni direttore di uno dei più prestigiosi, benemeriti e presenti sodalizi. La Corale S. Cecilia. Il “coro d’Egisto” come veniva comunemente chiamato.
Quanti fucecchiesi hanno impresso nella loro mente quasi mitiche notti di Natale e di Pasqua, o altre solennità, con Egisto, le luci, il via vai nel coro prima di cominciare. L’attacco garbato dei violini e delle viole ( Olintino, Ottorino Freschi, Pane, qualcun altro all’armonium) poi i “Gloria” dove il coro si esalta e si placa profondo ai “miserere”.
Anche chi scrive queste brevi note ha personali memorie e nel cuore, come tanti altri, un senso di gratitudine per quella ricchezza di canti, per quelle persone.
Troppo spesso ci dimentichiamo di chi ha speso generose energie per gli altri, per la propria comunità. Egisto... la sua passione liturgica, la sua competenza musicale. Ritiratosi (speriamo momentaneamente) dalla sua corale (screzi, incomprensioni, non sappiamo di preciso e la cosa come fucecchiesi, perché non confessarlo?, ci tocca) ci appare come un padre separato dalla sua famiglia.
Al Donati piace ancora raccontarci aneddoti di una Fucecchio diversa.., la fanfara di sua nonno “suonava a orecchio, i pistoni pigiati non secondo le note ma secondo il conto dei passi, o in punti precisi stabiliti lungo il percorso... alla bottega di tizio il fa.... al tal albero il do e così via”. Le gite dell’antica corale “Giuseppe Verdi” a Pescia, a Viareggio. Per molti occasione unica per vedere un po’ di mondo... Il pranzo, l’allegria e poi a improvvisare concerti per le piazze, nelle strade. L’elemento prevalentemente popolare di questi cori (esisteva anche una “Schola Cantorum”) era plasmato nelle numerose, implacabili prove settimanali e il livello e la qualità era garantito da buoni direttori. Il Maestro Lotti (babbo di Savino), per esempio, suonava anche il contrabbasso. Altro buon direttore e musicista fu nella Fucecchio degli anni intorno alla Grande Guerra l’arciprete della Collegiata Oreste Masini. Ma anche Don Giuseppe Marradi, altrimenti detto “il Nanetto”, per i cori e la musica si dette da fare.
La corale “Giuseppe Verdi” era una corale laica: ci spiega Egisto. Forniva il coro alle opere, che erano la grande passione dei fucecchiesi. Nel suo repertorio, oltre alla lirica, brani patriottici, canti popolari. Svolgeva insomma una funzione civile. La sua data di nascita vien fatta risalire al 1864. Ma a Fucecchio c’era anche una “Schola Cantorum” e questa era per i canti religiosi. Non c’era rivalità fra le due. Anzi molti coristi cantavano nell’una e nell’altra.
Alla Schola Cantorum erano affidati i servizi nella liturgie solenni e allora quasi esclusivamente si celebravano nella chiesa del paese alto.
Egisto ricorda anche un buon stuolo di musicisti: Giulio Malvolti al violoncello, il Sordi, detto Pane, al violino, Leda e Brucio, Olintino Bagnoli, l’indimenticabile Ottorino Freschi (anche quando telefonava a una signora prima di riattaccare si levava il cappello).

La “Giuseppe Verdi” e la “Schola Cantorum” si trovarono riunite per i solenni festeggiamenti nella Chiesa delle Vedute, nel 1930. L’anziano maestro Lotti fu felice di passare la bacchetta al più giovane Donati. Fresco di studi, una seria preparazione nel seminario di S. Miniato, il diploma di maestro di coro conseguito a Firenze con Tommasini e Morosini, Egisto, dopo essere stato ammirato spettatore s’inserì nella vita musicale del suo paese.
Nel 1934 le due corali fucecchiesi si fusero definitivamente e presero il nome di S. Cecilia. Il rinnovato complesso presto sì rinforzò nell’organico e nel repertorio. Nella vecchia “Schola Cantorum” si cantava solo la Messa a tre voci di Perosi. Nel Natale del 1934 i fucecchiesi poterono ascoltare la “Prima Pontificalis". Scandalo per quei tempi. Egisto aveva inserito nel coro i bambini e le donne. L’organico arrivò così a contare una cinquantina di persone.
Alla S.S. Annunziata di Firenze il maestro Cagnacci allestiva la “Iucunda”, Egisto prendeva contatti, studiava lo spartito, scambiava pareri, prendeva consigli e la “Iucunda" veniva anche a Fucecchio ad arricchire il repertorio della S. Cecilia. Le prove le facevano alle Vedute (dal priorino), nella stanza dei “Coronati Scalzi". I servizi per la chiesa delle Vedute comunque erano pochi. Le feste solenni, come abbiamo già detto, erano in Collegiata.
E secondo la tradizione, il coro non si limitò solo alla liturgia. Sotto altro nome, ma con gli stessi elementi, vinse nel 1938 un primo premio in concorso regionale (organizzato dalla GIL), che si tenne proprio a Fucecchio. La premiazione con tanto di medaglia a Firenze, al Teatro Verdi.
Viene la guerra, il dopoguerra e prima che il vecchio teatro per l’intento, la voglia, la frenesia di ammodernare venga praticamente distrutto, un ultimo sprazzo d’opera. Il “Rigoletto” con Bastianini. Il coro dei cortigiani è della S. Cecilia, ed è diretto da Egisto Donati. “Questo spettacolo - ero piccolo - me lo ricordo anch’io.... Leda, Brucio, i loro violini nel golfo mistico....”.
Con prestazioni esemplari in Collegiata (alla morte del Frediani, prima del lungo periodo di Don Volpi, arciprete è lo Stacchini), richiesta e contesa dalle chiese locali, la corale S. Cecilia diviene una delle più importanti della zona. Nella versione di massimo successo, esecuzioni a S. Miniato, a Empoli, a S. Gimignano, a Carrara. Con l’omonima S. Cecilia di Empoli negli anni cinquanta addirittura una momentanea felicissima combinazione (memorabile un concerto a corali unite nella chiesa di S. Agostino).
Si parla ormai di una fase di cui molti fucecchiesi hanno un diretto ricordo. Ed anche nomi e figure di coristi rivengono innanzi: Ciuce, Telempio, Oris, Sandro Ghimenti, Giannino Morelli e Giannino Nelli, il Magni, il Panconi, il Pellegrini, Giovanni Boldrini, Michele, il cuoco dei frati che ora canta al Comunale, Rolando Costagli, Beppino Donati e così via. In nome della musica, lasciando da parte, in un momento tra l’altro di forte contrapposizione, le idee politiche – senza guadagno, un rinfresco dopo l’esecuzione, qualche soldo per gli spartiti, la cena ambita il 22 novembre giorno di S. Cecilia - per molto tempo formarono un bel gruppo “affiatato” di coristi che soprattutto erano amici: li abbiamo conosciuti così..
Nel 1964 la corale festeggia il suo centenario (la S. Cecilia, come si è detto, continuava nel tempo la “Schola cantorum” e si sentiva diretta erede dell’ottocentesca “Giuseppe Verdi”). Ma i tempi mutano. È il periodo della grande svolta liturgica. Il Concilio, per esigenze pastorali, mise da parte la Messa in Latino e dette un duro colpo alla tradizione. Il prete in chiesa non volgeva più le spalle a tutto il popolo. L’assemblea, brava o non brava che fosse, doveva cantare. A distanza di anni c’è chi dice che la riforma fu troppo radicale. Un popolo, una cultura, trova in quella forma una continuità, le sue radici … nel mutamento inevitabile della storia è bene che qualcosa resti, non tutto deve cambiare. Ma a parte queste considerazioni, venne la riforma e la S. Cecilia non disarmò. Italianizzò il suo repertorio. Adattandosi ai nuovi canti, continuò (in varie forme, per quanto poté e per quanto consentirono a mano a mano le circostanze) il suo servizio nelle chiese cittadine. Nello stesso tempo si preparò con lo scrupolo e la serietà di sempre ad una attività di concerti. Proprio quando morì Kennedy, ce lo ricorda Egisto, nella palestra della scuola di Piazza XX Settembre ce ne fu uno.
La S. Cecilia col mutamento profondo avvenuto nella liturgia, nonostante gli sforzi di adattamento, è facile capirlo, si trovò spiazzata.
Gli anni sessanta non erano però anni di scoraggiamenti. Col boom economico, nonostante il consumismo e un certo stordimento generale, si faceva anche strada una benefica crescita dalle istanze culturali. A Fucecchio nacquero il Poggio, l’Associazione lirico sinfonica ed anche la corale fu presente ed anzi il suo direttore iniziò all’interno del Poggio che aveva costituito una sezione per gli amici della musica, un’attività di educazione musicale. Ma un più ambizioso programma la S. Cecilia doveva elaborarlo negli anni settanta quando un assessorato alla cultura allora attivo ed intraprendente impostava un piano definito “la musica per tutti”. Un piano che, in collaborazione con professori e allievi maturi del Conservatorio di Firenze prevedeva lezioni nelle scuole e concerti introdotti e spiegati. Poi la cosa, siamo ormai alla cronaca, nonostante un buon avvio, non ha avuto il seguito sperato.
“Ed ora eccomi qua – dice Egisto”. Cinquant’anni di direzione non sono pochi. Mi dice che ha festeggiato il mezzo secolo della sua S. Cecilia con lascito in suffragio dei vecchi coristi defunti. Ha dato precise disposizioni.
“Avrei idee – quasi sussurra. “ L’Istituto .. un po' come a S. Miniato – mi dice con una vigoria ed ancora una voglia di fare inaspettati- un Istituto che qui a Fucecchio dovrebbe essere non del teatro, ma della musica popolare”.
Poi mi parla ancora di liturgie ormai scomparse cui ha assistito fin da bambino. Come “Le sette parole di Gesù” per la riconsacrazione della chiesa delle monache (S. Salvatore) nel 1921-1922- Il “miserere” cantato per le strade sotto i lampioni a carboncino, un’antica usanza nella notte fra il Giovedì e il Venerdì Santo.
Gli “Improperi”, pezzo forte della corale e vanto dei fucecchiesi, dato che erano stati scritti nell’Ottocento da un loro concittadino.
 

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